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Nella maggior parte delle cardiopatie congenite soltanto l’intervento chirurgico è in grado di ripristinare una normalità anatomica e funzionale del cuore: i tempi per l’esecuzione dell’intervento ed i rischi ad esso connessi sono in funzione della gravità della cardiopatia e delle condizioni cliniche generali del bambino, ove età e peso corporeo giocano un ruolo di indubbia importanza: i rischi legati all’operazione, che aumentano in presenza di cardiopatie complesse, vanno sempre e comunque ponderati con le conseguenze di un mancato intervento. La non correzione di una cardiopatia può comportare la graduale incapacità del cuore di assicurare una gittata cardiaca adeguata al fabbisogno dell’organismo (insufficienza cardiaca), cianosi, ipertensione polmonare, arresto della crescita, scompenso cardiaco: la manifestazione graduale di questi problemi può comportare successivamente l’impossibilità di eseguire una correzione con successo, causando la morte del bambino. L’intervento può avere carattere d'urgenza quando è in pericolo la sopravvivenza stessa del bambino o quando la cardiopatia non trattata nell’immediato può severamente danneggiare il cuore od altri organi; in altri casi è praticabile un intervento di elezione, soggetto cioè a programmazione. I risultati della correzione chirurgica sono strettamente correlati al tipo d'intervento, che può essere: palliativo: in alcuni casi le condizioni del paziente e la severità della cardiopatia non consentono nelle fasi iniziali una correzione definitiva dell’anomalia cardiaca: l’intervento palliativo si propone di contenere gli effetti negativi di una cardiopatia (consentendo nell’immediato la sopravvivenza), e di apportare nel contempo un beneficio al quadro clinico, consentendo al bambino di crescere con rischi controllati, posticipando la correzione intracardiaca in epoca successiva al periodo neonatale o alla prima infanzia. L’intervento palliativo può rappresentare anche la prima fase di un percorso chirurgico che prevede più interventi per il trattamento di alcune cardiopatie complesse (come nel caso della Sindrome del cuore sinistro ipoplasico), ove la gravità del difetto e la presenza di più malformazioni associate non consentono la correzione in un’unica soluzione. Un intervento palliativo largamente praticato (ad esempio nella Tetralogia di Fallot) è l’intervento di Blalock-Taussig, che prevede la creazione di una comunicazione tra arteria succlavia, un’arteria che origina dall’aorta, e arteria polmonare mediante l’applicazione di un cilindro in Gore-Tex: questo intervento che si svolge a cuore chiuso aumenta il flusso polmonare riducendo così la cianosi. Un altro intervento palliativo a cui si fa ricorso è il bendaggio dell’arteria polmonare nel trattamento dei difetti interventricolari: l’arteria polmonare viene stretta con un laccio al fine di ridurne il calibro per limitare l’afflusso di sangue ai polmoni, diminuendo così il sovraccarico del ventricolo sinistro e quindi la comparsa dei sintomi dello scompenso cardiaco, con conseguente ripresa della crescita e miglioramento del quadro clinico. In epoca successiva all’intervento palliativo, verrà programmato un intervento correttivo della cardiopatia; correttivo: è l’intervento che corregge definitivamente l’anomalia; palliativo-correttivo: si tratta di un intervento che non corregge in misura definitiva la cardiopatia ripristinando un quadro anatomico normale (ed è pertanto palliativo), ma è al tempo stesso definitivo in quanto rappresenta la massima capacità risolutiva a cui le attuali tecniche cardiochirurgiche possono arrivare: in questi casi siamo in presenza di cardiopatie complesse, come l’Atresia della tricuspide, il Ventricolo unico o la Sindrome del Cuore Sinistro Ipoplasico; le attuali tecniche chirurgiche consentono in questi casi il recupero della funzionalità cardiaca e la separazione delle due circolazioni, ma non il recupero della normalità anatomica. Il miglioramento delle tecniche cardiochirurgiche, della circolazione extracorporea e delle cure di terapia intensiva consentono oggi la correzione delle cardiopatie congenite in epoca sempre più vicina a quella neonatale, operando una correzione precoce con rischi controllati: questo approccio, che si è rivelato soddisfacente nell’esperienza di molti centri cardiochirurgici, è destinato a sostituire nel trattamento della maggior parte delle cardiopatie congenite la correzione tardiva spesso preceduta da un intervento palliativo, che comunque presenta un proprio rischio operatorio e non fornisce un quadro stabile nel tempo, provocando talvolta complicazioni di natura evolutiva. Gli interventi infine si dividono in interventi a cuore chiuso (detti anche a cuore battente), che non implicano il ricorso alla circolazione extracorporea in presenza di una circolazione sanguigna che continua normalmente attraverso il cuore (chiusura del dotto arterioso pervio, coartazione aortica, interventi palliativi di bendaggio della polmonare o di Blalock-Taussig), ed interventi a cuore aperto, per i quali viene sospesa la circolazione ed il bambino viene collegato alla macchina cuore polmone. In epoca recente a questi tipi di interventi si affiancano quelli di emodinamica interventistica. |
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